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Femminista a chi?

domenica 10 ottobre 2010

Non mi definirei una femminista. Allo slogan “Gli uomini e le donne sono uguali” preferisco “Gli uomini e le donne sono pari”: uguali di fronte alla legge, tutti con gli stessi diritti e pari dignità, ma senza bisogno di rinunciare all’individualità. Anche perché, benché sia fermamente convinta che le differenze di genere siano in gran parte plasmate dalla società, non si può ignorare l’influenza degli ormoni, e sfido qualsiasi donna abbia superato la pubertà a contraddirmi.

Purtroppo, però, la diversità viene ancora considerata come qualcosa di negativo e, nonostante ci vantiamo di vivere in un Paese “sviluppato”, è ancora diffusissima la convinzione che “le donne sono diverse, quindi inferiori”. Nell’era del politically correct in pochi affermerebbero apertamente una cosa del genere, ma basta accendere la TV per capire che il messaggio implicito è esattamente quello. E, appunto perché implicito, è estremamente efficace, poiché agisce su una serie di convinzioni date per scontate e che non vengono messe in discussione, semplicemente perché “è sempre stato così”.

Tutto ciò è palese nelle pubblicità. Le peggiori credo siano quelle di una marca di sottilette nelle quali delle bambine di 4-5 anni recitano la parte delle perfette donnine di casa tutte prese a cucinare, lavare i piatti e lamentarsi dei mariti, attività “tipicamente femminili”. Hanno ancora i denti da latte e sono già imprigionate nello stereotipo dell’angelo del focolare.

Ma sono in buona compagnia. Di recente ho visto lo spot di un prodotto per la pulizia della casa. Una giovane coppia è seduta sul divano. Suona il campanello, lui va ad aprire e dice a lei “È per te.” Lei va alla porta e cosa trova? Un bel batuffolone di polvere pronto ad invadere l’appartamento appena pulito. Il messaggio è inequivocabile: spolverare è una cosa da donne, io, uomo, non voglio saperne nulla. Io gli avrei fatto ingoiare lo strofinaccio, ma sono notoriamente una persona molto poco femminile.

Per non parlare delle campagne pubblicitarie che usano donne più o meno svestite per vendere qualsiasi cosa, dall’antiruggine allo yogurt. A proposito di yogurt, vorrei ringraziare gli autori di “Presa diretta”, che un paio di settimane fa, nella puntata intitolata “Senza donne“, mi hanno fatto scoprire la differenza abissale tra la campagna italiana e quella estera di una certa marca che, in Italia, presenta il proprio prodotto in modo molto sensuale (corpi nudi, slogan ammiccanti, la solita storia), mentre in altri Paesi europei ha realizzato spot totalmente diversi (persone di ogni età che saltano, ballano e si divertono, il tutto senza togliersi i vestiti).

È già abbastanza triste vedere come il corpo delle donne venga considerato una merce qualsiasi, ma rendersi conto che in Italia, tanto per cambiare, siamo messi peggio che all’estero è veramente desolante.

PS Per chi non lo sapesse, l’immagine all’inizio del post rappresenta “Rosie the Riveter” (Rosie la saldatrice) e faceva parte della campagna di mobilitazione realizzata durante la Seconda Guerra Mondiale, quando le donne americane furono chiamate a lavorare in fabbrica al posto degli uomini spediti al fronte. Dieci anni più tardi, le pubblicità si rivolgevano così alle persone che avevano tenuto in piedi la nazione:

E qualcuno si chiede ancora perché le femministe siano così incazzate?