Uno dei tanti giornali gratuiti distribuiti a Milano, edizione del 27 giugno. Titolone in prima pagina: “Il Boss ci dovrà pagare i danni”. Leggo l’articolo. Il concerto di Bruce Springsteen è finito 22 minuti dopo rispetto all’orario stabilito dal comune, e il solito comitato dei residenti del quartiere San Siro si è dato subito da fare, spedendo in procura le rilevazioni effettuate dall’Arpa, con la speranza di ottenere il pagamento dei danni e bloccare i prossimi concerti previsti allo stadio Meazza.
Ammetto che il mio primo pensiero è stato: “Che razza di rompiballe.” I concerti a San Siro non sono così frequenti, e tutte queste proteste per venti minuti di musica in più mi sembrano francamente eccessive. Poi, però, mi sono ricordata dell’ultimo concerto all’aperto che ho visto all’estero. Alle 11:00 di sera, la band ha salutato il pubblico dicendo che dovevano spegnere tutto, altrimenti gli organizzatori avrebbero avuto dei problemi e sarebbero stati tolti i permessi per altre manifestazioni nello stesso luogo. Che si trovava in mezzo a un parco, lontano dalle abitazioni. Ma le regole sono regole. Soluzione: il concerto è iniziato alle 20:00 (alla faccia del giornalista italiano che scrive “come se un concerto rock potesse andare d’accordo con la luce accesa del tramonto”) ed è finito alle 23:00, cosa che ha, tra l’altro, lasciato al pubblico tutto il tempo di tornare a casa con i mezzi.
E qui si arriva all’altro lato dolente della questione, riportato dallo stesso giornale nella pagina accanto. Il giorno del concerto, l’area attorno allo stadio è stata chiusa al traffico e i fan del Boss sono stati invitati a usare i mezzi pubblici. Tutto molto bello, io lo faccio sempre. Ma solo quando sono all’estero, perché ho la certezza di non rimanere a piedi. I 70.000 in uscita da San Siro, invece, hanno prima avuto la bella sorpresa di non trovare le navette per la fermata della metro di Lotto, e poi quella, ancora più bella, di scoprire che, poco dopo mezzanotte, era passato l’ultimo treno. Per i più coraggiosi c’erano le corse notturne della 90-91, consigliate solo se si sta viaggiando accompagnati da Chuck Norris, per gli altri i taxi e i piedi. Del resto l’ATM aveva detto di “andare” al concerto coi mezzi, mica aveva parlato del ritorno.
Se penso che in Germania, compreso nel biglietto del concerto, c’è anche il viaggio di andata e ritorno con i mezzi pubblici, mi viene da ridere. Per non piangere, ovviamente. E non solo in città come Berlino, dove mi è capitato di prendere un autobus alle 3:30 del mattino per andare all’aeroporto e di stupirmi nel trovarmi fra “gente normale”, pur essendo salita a una fermata vicino a Kreuzberg, quartiere a maggioranza turca; lo stesso vale anche in centri di medie dimensioni come Mannheim (300.000 abitanti circa, contro il milione e 300 mila di Milano): concerto in un palazzetto di periferia, praticamente in mezzo al nulla, ma con una fermata del tram dall’altra parte della strada. Poco dopo la mezzanotte salgo a bordo e mezz’ora dopo sono in albergo, in pieno centro.
Ho provato a chiedere a una persona che lavora nell’organizzazione di eventi, perché organizzatori e istituzioni non tentano un accordo simile anche qui. Diminuirebbe il traffico e la gente sarebbe più invogliata ad andare ai concerti. Mi ha guardata come se fossi un’aliena e mi ha risposto con un semplice “Non si può.”
Complimenti per lo spirito di iniziativa.
Fonte: DNews